Cremazione, dati e prospettive sul territorio

Oltre il ‘caso Colfiorito’ è possibile parlare di cremazione senza pregiudizi e dati alla mano: la situazione umbra, la posizione della Chiesa cattolica e l’impatto dei templi crematori su dati certificati 

Solo negli ultimi giorni le cronache cittadine si sono occupate di cremazione. Non certo entrando nel merito dell’argomento: dopo la notizia dell’avvio di un iter da parte di privati per la costruzione di un Tempio crematorio a Colfiorito è stata immediata la levata di scudi di alcuni colfioritani, che hanno creato un comitato popolare per dire no all’impianto.
Durante un partecipatissimo incontro sul luogo, indetto e condotto dall’amministrazione comunale il 1 marzo scorso, l’assessore delegato Marco Cesaro ha cercato di delineare il tema sotto il profilo tecnico e amministrativo; ma poco — su questo fronte — è stato possibile approfondire.
“Questo impianto non lo vogliamo, lo capite o no?” era, in buona sostanza, il messaggio che sorgeva a voce alta fra le teste dei numerosi partecipanti all’incontro.

 

Dopo pochi minuti di preambolo del sindaco Stefano Zuccarini, che aveva aperto la serata chiedendo interventi dal pubblico e ricevendo i timori di molti che specificavano di voler “tutelare il territorio” sia sotto il profilo ambientale che per le ripercussioni “di immagine” ed economiche, trattandosi di una zona a vocazione agricola e di produzione agroalimentare di pregio, il primo cittadino ha detto: “L’impianto non si farà”. ‘Not In My Backyard’ non nel cortile dei colfioritani; si chiama NIMBY, acronimo della frase inglese appena enunciata, la forma di protesta di un gruppo di persone che vede minacciata la sicurezza della propria area di residenza dall’insediamento di opere indesiderate.
Chi scrive, insieme a molti altri arrivati sino a Colfiorito per capire i contorni di un tema tanto delicato quanto di interesse generale, avrebbe voluto saperne di più sull’argomento, data la preoccupante condizione dei cimiteri comunali non solo folignati ma umbri.
Se quell’incontro non è stato l’occasione per approfondire un tema che ci riguarda tutti, come avrebbe voluto fare qualcuno giunto da Foligno per dire la sua e zittito dalla folla, vediamo di cogliere adesso qualche spunto di riflessione.

IN UMBRIA DUE ASSOCIAZIONI PER LA CREMAZIONE
Sono due le associazioni per la cremazione in Umbria: L’Associazione per la Cremazione di Perugia (città che ha un tempio crematorio in funzione, l’unico in Umbria) è legalmente riconosciuta dal 1989 e sono circa 2.800 gli iscritti di Foligno.
Per aderire è necessario redigere di proprio pugno la dichiarazione di volontà alla Cremazione, e qualora ci siano impedimenti fisici l’iscrizione può essere effettuata con dei testimoni. Nel modulo ci sono i dati anagrafici, la dichiarazione di volontà che attesti che la propria salma sia cremata, la dichiarazione che le proprie ceneri siano disperse o affidate ai propri cari nominando esecutore testamentario il Presidente dell’Associazione per la Cremazione di Perugia. La dispersione delle ceneri può avvenire nel Giardino delle Rimembranze situato nel Cimitero Monumentale di Perugia.
Un dato su tutti: oltre la metà dei cremati non si iscrive più, perché se anche il defunto non lascia alcuna volontà il parente più prossimo o il coniuge possono procedere con una dichiarazione espressa e sottoscritta firmata di fronte all’ufficiale di stato civile del Comune.

A Spoleto c’è invece la Società di cremazione Luigi Pianciani; L’Associazione di Cremazione spoletina è la più antica dell’Umbria, nata nel 1903 e oggi, come si apprende dal suo sito web, conta oltre 340 iscritti, provenienti da diversi comuni Umbri. Qui è dal 2016 in programma il restauro di un antico ‘carro crematorio napoleonico’ e la società vorrebbe ripristinare il tempio crematorio per il quale “si è fatta avanti una società molto importante a livello nazionale che si impegnò a provvedere essa stessa a realizzarlo e anche a gestirlo per 4 o 5 anni. Da sottolineare che questa importante società ne ha in gestione altri 11 in tutta Italia. Il sindaco Sisti, però, dopo aver avocato a se tutta la questione, non si è fatto più sentire”.

NUMERI E TEMPI DI ATTESA IN UMBRIA
Partiamo dall’attualità: lo scorso dicembre il Comune di Perugia ha annunciato di voler accelerare l’iter per realizzare un secondo forno crematorio per il cimitero monumentale al fine di far fronte alle richieste in crescita, non solo dal territorio perugino e limitrofo, ma anche da fuori regione. È qui che arrivano anche le salme della Valle Umbra sud. Perugia, come riportava Il Messaggero Umbria in un articolo online del collega Riccardo Gasperini, ha approvato uno studio di fattibilità per la realizzazione della seconda linea del Crematorio Ariodante Fabretti, finanziata con un mutuo per 1,2 milioni di euro.
La necessità nasce dai numeri: “Se qualche anno fa si parlava di un numero di 1600 cremazioni nell’arco di 12 mesi, il 2022 si era chiuso con 1813 cremazioni. Ad oggi i dati parlano di 1900 domande: è il dato del 2023, ancora non terminato e che dunque sarà maggiore nel bilancio finale”. Nel 2023, come ci spiegano alcuni operatori del settore, le cremazioni a Perugia sono state 2.300.
Il tempio crematorio di Perugia ha tempi di attesa importanti: se per i perugini è necessario attendere almeno 5 o 6 giorni perché un proprio caro trovi finalmente riposo;  per i defunti che arrivano da fuori territorio l’attesa aumenta, non avendo precedenza in quanto residenti. Per un folignate deceduto l’altroieri, ieri mattina la prima disponibilità fornita dall’impianto di Perugia — solo perché un’altra famiglia aveva rinunciato — era per il 18 di marzo, dunque con un attesa di 11 giorni. Altrimenti la prima data disponibile sarebbe stata il 21 marzo: due settimane. Un lunghissimo tempo nel quale i familiari di un defunto che avesse scelto di essere cremato si trovano a dover vivere una situazione psicologicamente devastante. Intervistando un operatore del settore scopriamo che sono 300 (per una sola agenzia) le salme cremate in un anno da Foligno a Perugia; numero che, considerando tutte le agenzie di pompe funebri cittadine, potrebbe salire almeno fino a 900 (in una stima, ci dicono, al ribasso). La cremazione infatti è anche destinata alle salme che devono essere riesumate dopo alcuni decenni dai cimiteri comunali: a Foligno sarebbero circa 2000 i corpi che attendono questo trattamento.

 

Non solo Foligno: tutti i cimiteri comunali della zona hanno lo stesso, enorme, problema di spazio, crescita della struttura muraria e dunque consumo di suolo, ingrandendosi e riempiendosi sempre di più.
In molti casi (come si vede nel video, riferito a Colfiorito ma che potrebbe essere di qualsiasi altro cimitero cittadino) i riesumati vengono rimessi sotto terra in campi comuni per un effetto non propriamente decoroso.

Da un familiare riceviamo una video testimonianza, registrata a Perugia nella sala dove attraverso uno schermo è possibile osservare la bara del proprio caro mentre sta entrando nel tempio crematorio. Proprio accanto, nella stessa sala, c’è una bara che contiene la salma di uno sconosciuto , in attesa della cremazione. “Una situazione terribile, che va contro la tutela della dignità di chi si trova a dover salutare un familiare defunto” ci raccontano.

IMPATTO AMBIENTALE: UN PO’ DI CHIAREZZA
Oltre a dover superare un limite di tipo culturale, la scelta della cremazione deve anche fare i conti con l’idea che gli impianti siano poco sostenibili. Cercando in rete ‘cremazione e impatto ambientale’ il primo studio che si trova risale al 2016 ed è firmato da ISDE Italia, associazione medici per l’ambiente. “La cremazione annuale di migliaia di salme potrebbe causare emissioni di decine di chilogrammi di mercurio. Uno studio inglese stima che per il 2020 il mercurio emesso dalla pratica della cremazione peserà per il 35% del mercurio totale emesso in atmosfera”: questa l’anteprima Google del documento.
Da allora a oggi le cose sembrano essere cambiate: rigidi protocolli nel trattamento dei fumi e dei residui e tecnologie avanzate rendono i moderni impianti crematori strutture al 100% sostenibili. Lo studio comparato del Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate dell’Università degli Studi dell’Insubria, basato su analisi e dati reali, restituisce un quadro assolutamente rassicurante. “Le emissioni prodotte da un crematorio di ultima generazione ‑si legge nel documento prodotto per la realizzazione del tempio crematorio di Fondi, in Lazio -  non presentano alcun tipo di criticità”. Tre, nello specifico, le tipologie di emissione messe sotto esame.

  • Polveri (PM10). I risultati di abbattimento del particolato e degli inquinanti con trattamenti congiunti dei fumi con adsorbenti (carbone attivo) e filtri tessili sono ottimi e normalmente molto inferiori al limite di Legge.
  • Mercurio (Hg). Il mercurio presente nelle emissioni deriva essenzialmente dalle otturazioni dentali dei defunti. Il mercurio presente come gas nei fumi viene abbattuto a secco dosando carbone attivo nella fase di trattamento in cui sono abbattuti, oltre ai metalli, anche i gas acidi e i micro-inquinanti organici. Le polveri di abbattimento vengono smaltite come rifiuti speciali pericolosi in impianti autorizzati.
  • Diossine e Furani (PCDD-PCDF). La curva formazione/temperatura di combustione porta a una produzione minima attorno alla temperatura di circa 950°C; un rapido raffreddamento dei fumi limita la ri-formazione di questi composti. Queste condizioni guidano, per l’appunto, la progettazione dei forni. E in effetti i rilievi effettuati dimostrano percentuali di emissioni millesimali rispetto alle soglie stabilite dalle norme. 

Quanto alle falde acquifere le acque di scarico generate dalla struttura sono, oltre che di volume ridotto, assolutamente analoghe ad acque reflue urbane, in quanto prodotte dai servizi igienici dell’impianto (a servizio dei dipendenti e del pubblico presente alle cerimonie) e dalle operazioni di ordinaria pulizia degli ambienti. Le operazioni relative al tempio crematorio non prevedono l’impiego e lo scarico di liquidi: le tecnologie attuali di trattamento dei fumi sono basate su trattamenti di depolverazione fumi “a secco” con l’uso di reagenti in polvere che dopo aver depurato i fumi dagli inquinanti vengono rimossi nella fase di filtrazione su tessuto e smaltiti come rifiuti speciali (in quanto derivanti da un’attività di servizio e non dall’ambiente domestico) di tipo pericoloso (per il contenuto di inquinanti). 

Nella scheda realizzata dal produttore di un impianto di cremazione di ultima generazione (Ciroldi)  è specificato come siano “garantite concentrazioni degli inquinanti al di sotto dei limiti previsti dalle normative nazionali ed europee. L’impatto effettivo dell’impianto è in pratica equivalente ad una moderna caldaia a metano a servizio di condomini medio-piccoli. Non vi sono differenze di impatto ambientale tra forno acceso e forno spento neppure nelle immediate vicinanze dell’impianto. Nessun odore o fumo dal camino del crematorio, contrariamente a quanto avviene con il comune caminetto di casa, che produce fumi visibili e odori”.
A confermare i dati anche lo studio di un’azienda del settore ambientale (New consult ambiente) che ha realizzato una valutazione preliminare relativa all’installazione di un tempio crematorio, paragonando le emissioni a quelle di due impianti industriali di medie e piccole dimensioni e dimostrando l’impatto pressoché nullo (schema in figura).

UNA QUESTIONE RELIGIOSA… ED ECONOMICA
Dal 2016, anno del documento “Ad Resurgendum cum Christo” redatto dalla Congregazione per la dottrina della Fede e approvato da Papa Francesco in cui la Chiesa cattolica ribadiva il sì alla cremazione, “ma la sepoltura è la pratica preferibile e non è concessa la conservazione dell’urna in casa o la dispersione delle ceneri nella terra, in acqua o nell’aria” lo scorso dicembre è arrivato il via libera della Chiesa cattolica alla conservazione in casa, o in altro luogo gradito al defunto, delle ceneri di un famigliare. A stabilirlo il Dicastero per la dottrina della fede su quesiti sollevati dal presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi. Ciò è possibile, ha detto il Vaticano, “posto che venga escluso ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista”. La Congregazione per la dottrina della fede ha chiarito, fermo restando il divieto assoluto a disperdere le ceneri dei propri defunti in natura, che è possibile istituite «un luogo sacro, definito e permanente, per l’accumulo commisto e la conservazione delle ceneri dei battezzati defunti, indicando per ciascuno i dati anagrafici per non disperdere la memoria nominale» e che nelle case dei familiari potrà essere conservata, ma non dispersa, una minima parte delle ceneri, cosa che finora era stata esclusa dalla Chiesa.
Zuppi a capo di una commissione di studio sulla crescente richiesta di cremazione, aveva affermato come che all’origine di questo fenomeno esistessero motivazioni di natura economica dietro all’elevato costo che i loculi e le tombe nei cimiteri hanno raggiunto; ovvio che la dispersione delle ceneri nella natura comportasse spese inferiori. Da qui, considerando il divieto canonico di dispersione, Zuppi proponeva l’individuazione di un luogo condiviso per la conservazione delle ceneri.
Ma quanto costa la cremazione? Oggi il servizio a Perugia costa 500 euro, cui si aggiungono quelle del funerale e del trasporto della bara; se il servizio fosse a Foligno per i residenti (come accade oggi per i perugini) coltrerebbe la metà, ovvero 250€. Le tombe ossari dove custodire le urne cinerarie sono di dimensioni minori rispetto ai loculi e in concessione per 99 anni costano fra i 3–400€ contro i 1500–3000 € dei comuni loculi.  

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